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8 – L’ATTIVITA’ DI REVISIONE CONTABILE
Ai sensi dell’art. 155T.U. la società di revisione deve svolgere le verifiche contabili.
Tali verifiche riguardano l’esattezza della contabilizzazione dei fatti gestionali, la corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti e la conformità del bilancio alle norme che disciplinano il bilancio d’esercizio.
Il revisore deve svolgere, in sostanza, prima una verifica sulla regolarità della tenuta dei libri contabili e sull’esatta rilevazione dei fatti di gestione secondo i principi contabili, poi un controllo sui conti di fine esercizio, così da poter verificare che la realtà dei fatti aziendali sia stata esattamente riportata nelle scritture redatte nel corso dell’anno e che tutto sia stato fedelmente riassunto alla fine dell’esercizio.
Viene espressamente prevista la continuità ("nel corso dell’esercizio") di tali controlli, con ciò chiarendo un dubbio interpretativo sorto nella previgente disciplina ma sul quale vi era, comunque, sostanziale uniformità di vedute, in considerazione del corretto svolgimento della funzione e della attendibilità della tenuta delle scritture contabili.
Circa il contenuto dei compiti di verifica affidati alla società di revisione si può rilevare che quello di cui alla lett. a) dell’art. 155 (regolare tenuta della contabilità e corretta rilevazione dei fatti di gestione), consiste nel riscontro della rispondenza delle scritture contabili ai fatti aziendali ed agli eventi accaduti nel corso dell’esercizio e nella verifica dell’idoneità delle scritture contabili a rappresentare i fatti di gestione e della regolarità formale delle medesime. Ciò significa sistematicità della rilevazione, rispetto della cronologia, disponibilità della documentazione di supporto.
In considerazione della rilevanza pubblicistica assunta dalle operazioni di controllo della società di revisione, nello svolgimento della verifica di cui alla lett. a) si chiede alla società di revisione di effettuare non solo un riscontro di carattere formale-contabile, ma di spingersi fino a verificare, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal legislatore (accertamenti, ispezioni, richieste di dati e notizie), la corretta esposizione dei fatti di gestione nelle scritture contabili.
A riguardo è ben noto che la verifica più efficiente è quella che si realizza "all’esterno", attraverso le informazioni ottenute dai terzi che sono entrati in contatto con la società e che, trovandosi come controparte della stessa, sono quelle più attendibili.
Diligente è in sostanza la società di revisione che non si accontenta delle informazioni interne, ma svolge indagini all’esterno.
La verifica di cui alla lett. b) (corrispondenze del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti), ha per oggetto non la totalità delle registrazioni effettuate nel corso dell’esercizio, ma le registrazioni di fine esercizio.
Contabilità e bilancio si presuppongono vicendevolmente nel senso che la contabilità ordina cronologicamente e classifica sistematicamente i valori nei rispettivi conti; il bilancio compone tale valore nelle sintesi di reddito e di capitale.
Il bilancio diventa così il documento terminale che compone e sistema i valori raccolti dalla contabilità generale, per determinare il risultato economico dell’esercizio.
Ai sensi dell’art. 155 n. 2 la società di revisione è poi tenuta ad informare senza indugio la Consob ed il collegio sindacale dei fatti ritenuti censurabili.
L’obbligo di denunciare i fatti censurabili anche alla Consob obbedisce ai compiti di tutela degli investitori, di vigilanza sull’efficienza e sulla trasparenza del mercato dei capitali.
I fatti censurabili non vanno necessariamente riferiti agli amministratori potendo i medesimi riguardare anche l’operato di soggetti diversi, quali direttori generali o altre persone con mansioni direttive.
Per la Consob fatto censurabile è qualunque "fatto o illecito compiuto da persone o organi della società derivante da deviazioni dalla norma giuridica o dalla norma che abbia un effetto rilevante ai fini del bilancio"
Sembra però preferibile la nozione più ampia che non limita i fatti censurabili alle irregolarità contabili, ma a qualsiasi irregolarità attinente alla gestione e l’organizzazione sociale.
La formula utilizzata dal legislatore, che non si identifica con le "gravi irregolarità" previste dall’art. 2409, comprende ipotesi di violazioni legali e statutarie anche non particolarmente gravi, di censure che possono essere sollevate sia sul piano della legittimità come sul piano dell’opportunità economica e dell’osservanza delle regole della tecnica.
Con riguardo all’obbligo di denunciare i fatti censurabili la giurisprudenza ha considerato responsabile la società di revisione per aver ritenuto l’assoluta regolarità di pagamenti dalla cui stessa causale avrebbe dovuto risultare l’illiceità (per contrarietà a norme imperative) o, almeno, irregolarità ( per violazione delle procedure di controllo infragruppo) (Trib. Roma 26.4.1999 in Le Società 1999 p. 1232).
E’ stato rilevato però in dottrina che al revisore non compete esprimere alcun giudizio sulla validità dei titoli di incasso e di pagamento, dovendo egli solo verificare l’esistenza dei predetti titoli.
Altra dottrina tuttavia ha notato che la stessa ratio della revisione contabile risulterebbe in buona parte tradita e che i poteri (di accertamento, ispezione e controllo) all’uopo attribuiti risulterebbero ridondanti, laddove si affermasse che il flusso informativo generato dagli amministratori debba essere riguardato dalla società di revisione esclusivamente sotto il profilo della corretta rilevazione nella contabilità e della verità o falsità dei fatti ivi evidenziati.
Appare preferibile limitare l’obbligo di rilevare e segnalare le irregolarità e le illiceità dei negozi conclusi dagli amministratori, limitando a queste i "fatti censurabili" e non anche alle invalidità relative.
10 – LA RESPONSABILITA’ DELLA SOCIETA’ DI REVISIONE
L’art. 164 T.U. rinviando all’art. 2407 primo comma prevede un adempimento dei propri doveri, da parte della società di revisione, con la diligenza del mandatario, indicata dall’art. 1710 che a sua volta rinvia all’art. 1176.
Nell’esame specifico della diligenza dovuta dalla società di revisione dovrà essere valutata tenendo conto dell’art. 1176 comma 2 cc, il quale impone la considerazione della natura dell’attività esercitata e, pertanto i principi di revisione raccomandati dalla Consob acquistano la funzione di parametro di riferimento.
Va peraltro osservato che l’inosservanza dei suddetti principi non comporta automaticamente l’inadempimento della società di revisione se quest'ultima riesce a dimostrare che le procedure di controllo in concreto utilizzate corrispondono meglio o altrettanto bene dei principi raccomandati alle esigenze del caso. Così come il rispetto dei suddetti principi in particolari casi non è fase conclusiva di un esatto adempimento.
Incertezze si registrano invece con riguardo alla determinazione dell’oggetto dell’obbligazione dell’attività di revisione. La dottrina prevalente ritiene che la ricerca del vero in senso sostanziale sia in obligatione con conseguente responsabilità per la mancata scoperta del falso e/o delle frodi qualora questa sia, alla luce del criterio di diligenza del "buon revisore" imputabile alla società di auditing. Altri ritengono che in quanto obbligazione di mezzi, non vi è garanzia sulla verità delle attestazioni, dal momento che la diligenza è considerata il solo criterio per l’individuazione dell’esatta prestazione dovuta e, di conseguenza, non sarebbe richiesta la scoperta di frodi e irregolarità.
La prima opinione ha trovato seguito in giurisprudenza sul rilievo che la finalità precipua della revisione è la protezione del mercato di borsa, del pubblico risparmio, che viene realizzata garantendo la completezza, la veridicità e la trasparenza della informazione societaria. E’ infatti proprio in questa prospettiva "pubblicistica" di tutela del risparmio, che la ricerca del vero viene necessariamente considerata in obligatione per il revisore, e non però soltanto come fine eventualmente realizzabile, bensì come risultato dovuto (App. Torino 30/5/1995 in Giur. Comm., II, 492 con nota di Valensise)
E’ stato tuttavia osservato che la società di revisione ha la possibilità di scoprire non tutti i falsi, bensì solo quelli che possono emergere nell’attività di ricerca di quel vero che è la realtà attingibile dal revisore, precisamente la documentazione di primo grado ed una parte limitata di fenomeni tangibili.
Pertanto, in considerazione di ciò, ove sussistano atti o fatti di gestione che pure incidano sensibilmente sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società revisionata, ma di cui non resti traccia in contabilità e nella realtà verificabile dal revisore, per la natura del fatto di gestione ed il comportamento degli autori del fatto e dei compilatori del bilancio, il revisore non potrà avere percezione dell’esistenza del fatto di gestione e valutarne l’incidenza sulla rappresentazione contabile. Di conseguenza la società di revisione deve essere messa in condizione di poter dimostrare che, una volta accertata la presenza di un falso nella contabilità, la mancata scoperta di questo non le è comunque imputabile.
In definitiva per quanto riguarda la ripartizione dell’onere probatorio in materia di inadempimento delle obbligazioni gravanti sulla società di revisione, mentre la società revisionata potrà limitarsi ad allegare l’inesattezza della contabilizzazione dei fatti di gestione o la non corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili, spetterà invece alla società di revisione, ove voglia escludere l’inadempimento e la conseguente responsabilità a suo carico , dimostrare di aver usato la diligenza dovuta nell’espletamento dei suddetti compiti. In questo senso, del resto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno di recente risolto la controversa questione della ripartizione dell’onere probatorio in tema di inadempimento delle obbligazioni stabilendo che "il creditore che agisca in giudizio per l’inesatto adempimento del debitore deve solo fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto limitandosi ad allegare l’inesattezza dell’adempimento costituita dalla violazione dei doveri accessori, della mancata osservanza dell’obbligo di dirigenza o delle difformità qualitative o quantitative dei beni, posto che incombe sul debitore convenuto l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione" (Cass. Sez. Un. 30.10.2001 n. 13.533 in F.I. 2002, 1,770).
Società di revisione, dipendenti e responsabili della revisione sono responsabili in solido per espresso disposto dell’art. 164 per fatti illeciti che abbiano danneggiato i terzi.
Controversa è la determinazione del contenuto della nozione di "fatti illeciti" che alcuni identificano con gli inadempimenti contrattuali dei quali può rendersi responsabile la società di revisione verso la società revisionata; altri ritengono che si debba far riferimento al più generale principio del neminem laedere . Di quest’ultima opinione sembra essere la giurisprudenza (Trib. Torino 18/9/1993 in Giur. It. 1994, 1, 2, 655 con nota di Santaroni) per la quale l’art. 2043 è "norma generale cui deve essere ricondotta la disposizione dell’art. 12 D.P.R. n. 136/1975 (oggi art. 164) nella parte in cui dispone, come specie a genus che le persone che hanno sottoscritto la relazione di certificazione…… sono responsabili in solido , con la società di revisione, per i danni conseguenti da fatti illeciti nei confronti …. dei terzi". Ciò equivale ad affermare che la responsabilità extra contrattuale di responsabili della revisione e dipendenti , in solido con la società di revisione, è regolamentata dai principi generali dell’art. 2043 che vengono applicati alla fattispecie del controllo contabile in funzione della tutela dell’investitore e del diritto di costui ad informazioni trasparenti, corrette e veritiere sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società, perché soltanto un’informazione che abbia le menzionate caratteristiche può consentirgli di compiere consapevoli scelte di investimento e di disinvestimento.
Sotto il profilo probatorio non sono state accolte le osservazioni di chi aveva suggerito di invertire in questo caso l’onere della prova dell’elemento soggettivo dal momento che il terzo non sarebbe mai in condizione di provare una negligenza nello svolgimento delle procedure di revisione dal momento che non ha assistito al loro svolgimento , né del resto avrebbe potuto assistervi.
Occorre considerare, tuttavia, che trova largo seguito anche nella giurisprudenza la tesi che, con il riferimento a quelle attività svolte da un soggetto collettivo che presenta un certo grado di organizzazione e sistematicità, l’accertamento della responsabilità prescinde dalla dimostrazione della colpa.
Nel caso della società di revisione l’imputazione della responsabilità non può che avvenire sulla base di criteri oggettivi.
Innanzitutto la struttura del revisore, necessariamente societaria, presuppone un’organizzazione imprenditoriale con un livello di organizzazione del lavoro, in media, abbastanza complesso.
In secondo luogo, data la finalità dell’istituto della revisione contabile, la società di revisione deve fornire un servizio professionale che è previsto legislativamente in funzione preventiva del verificarsi di eventi dannosi. La caratteristica di questo tipo di norme è che, elaborandole, il legislatore ha già svolto in astratto un giudizio di ragionevole prevedibilità del verificarsi di eventi dannosi in seguito all’inosservanza dell’azione o dell’omissione in esse contenute; per tale motivo è possibile prescindere dalla concreta individuazione dell’azione colposa per l’imputazione della responsabilità.
Si consideri, inoltre, che l’assunzione a carico della società di revisione del rischio professionale è confermata dall’osservazione che nella relativa disciplina vi sono elementi che dimostrano che il legislatore ha avvertito anche la necessità di salvaguardare esigenze di distribuzione e di copertura del danno: tra i requisiti richiesti per l’iscrizione nell’albo speciale delle società di revisione c’è quello della sussistenza di "idonea garanzia prestata da banche o risparmiatori o intermediari iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del d.leg. 1.IX.1993 n. 385 a copertura dei rischi derivanti dall’esercizio dell’attività di revisione contabile " (art. 14 n. 4 T.U., già art. 8 del d.p.r. n. 136/1975).
In conclusione, la società di revisione assume il rischio professionale dell’attività svolta secondo criteri oggettivi di imputazione che permettono di prescindere, in un giudizio di responsabilità, dalla dimostrazione della colpa.
Con riguardo al contenuto della prova liberatoria a carico della società di revisione ritengo che esso possa essere individuato in quello previsto in materia di responsabilità per danni risentiti dai clienti o dai terzi nello svolgimento di servizi di investimento e cioè "nella prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta", che è poi il criterio giurisprudenziale applicato alla responsabilità da prospetto (Trib. Milano 11.1.1988 in B.B.T.C. 1988,II,532).
A tal fine un utile ausilio sarà dato dai c.d. principi di revisione tenendo sempre presente, tuttavia, la fattispecie concreta in cui la società di revisione si è trovata ad operare, allo scopo di verificare se essa, applicando i principi e le procedure di revisione raccomandate, ha diligentemente adempiuto agli obblighi imposti dal contratto di revisione e se quel complesso di regole generali ed astratte rappresentate dai principi di revisione è adeguato alla effettiva situazione sottoposta al controllo della società di revisione. Ciò perché "l’impegno a carico del revisione importa non solo l’obbligo di applicare diligentemente i principi generali raccomandati, ma anche e soprattutto di valutare se essi siano adeguati e consoni al caso preso in esame. Ove risulti che tale adeguatezza non ricorre, spetta al revisore svolgere ulteriori indagini, compiere gli accertamenti e porre in essere quelle procedure che l’esigenza del caso richiede. Solo in tal modo potrà affermarsi che la diligenza dovuta è stata concretamente impegnata.
In aderenza ai principi dell’art. 2043 si richiede l’esistenza del nesso di causalità tra il fatto compiuto del revisore e il danno subito dal terzo.
In dottrina secondo alcuni autori si ritiene ipotizzabile il nesso di causalità anche se il terzo non ha letto in prima persona la relazione erronea o no veritiera contenente il giudizio sul bilancio d’esercizio consolidato.
Secondo altri, per evitare un eccessivo allargamento dell’area di potenziale responsabilità del revisore si suggerisce di circoscrivere la stessa ai casi in cui il bilancio oggetto del suo esame rappresenti una situazione della società talmente diversa da quella reale che colui che assume di aver subito un danno per aver compiuto un operazione facendo affidamento sul giudizio del revisore non avrebbe compiuto l’operazione ovvero l’avrebbe compiuta a condizioni diverse se avesse conosciuto la situazione reale.
http://www.tribunaletrieste.it/documenti/relazioni/Incontro%20studio%2027%20maggio%202002_uno.htm